"è assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla TV"
Woody Allen

Il cinema non è un mestiere. È un'arte. Non significa lavoro di gruppo. Si è sempre soli; sul set così come prima la pagina bianca. E per Bergman, essere solo significa porsi delle domande. E fare film significa risponder loro. Niente potrebbe essere più classicamente romantico.
Jean-Luc Godard

Saturday, December 22, 2012

Moonrise Kingdom



Wes Anderson lo presentò come film d'apertura a Cannes 2012 ricevendo una nomination nella categoria Palma d'oro.
In effetti lo stile di questo giovane regista statunitense, considerato da tutti la futura fiamma emergente del cinema, è molto ricercato dal punto di vista formale e non solo. 
Si tratta di teatrale stravaganza: il gusto un po' retrò (anni '60 in questa commedia e '70 ne I Tenenbaum), i colori accesi che rimandano ad ambientazioni surreali e fiabesche, la recitazione teatrale, appunto, degli interpreti e l'importanza della musica (in quest'ultimo lavoro è inconfondibile il contributo di Alexandre Desplat), l'ironia malinconica, la telecamera puntata sull'espressione dei volti e il costante intreccio tra il mondo infantile e quello adulto sono i punti cardine dell'intero cinema di Anderson. 
Il travestimento inteso come trasformazione
 è un gioco tipico dei bambini ed è un tema
presente nelle fiabe di magia
Il ritorno all'arte cinematografica intesa come pura poesia basata sull'estetica rappresenta un po' il limite del regista, che in qualche modo rende l'insieme troppo edulcorato a causa di eccessiva plasticità scenografica che, involontariamente influenza anche la recitazione degli interpreti: i personaggi sembrano stereotipati e, in quanto tali, sono più definibili come tipi che come caratteri. 
Le fiabe sono presenti anche nel film
I tipi, infatti, sono dei personaggi fissi che nel corso delle vicende della storia non mutano i loro atteggiamenti; tuttavia questa particolarità è in perfetta linea con il quadro generale che Wes Anderson ci offre della sua visione del mondo, ossia quello di una fiaba dai risvolti malinconici (e le fiabe, a partire da quelle di Esopo fino ad arrivare a quelle dei fratelli Grimm, sono proprio fondate su schemi ripetitivi di narrazione e su personaggi tipici: il protagonista che per raggiungere l'oggetto del desiderio deve combattere i cattivi alleandosi con aiutanti che condividono i suoi stessi ideali).
Quindi anche in questa fuga d'amore troviamo il protagonista, Sam, un po' emarginato perchè ha ideali puri e non condivisi dai suoi antagonisti, cioè gli altri ragazzi del campo scout, alla ricerca del suo amore, Suzy. I cattivi sono i genitori di Suzy e i servizi sociali che ostacolano l'amore tra i due; l'aiutante di Sam è il Capitano Sharp insieme a Randy Ward, capo scout. 
Il tutto coadiuvato da un'importante figura tipica delle commedie latine e reinterpretata in chiave moderna sotto le spoglie di un abitante del luogo in cui si svolge la vicenda: è colui che ci dà informazioni sulla vicenda e che interviene per commentarla (foto qui sotto)
Un altro limite rappresentato dall'eccessiva cura di dettagli è la conseguente patinatura di perfezione che confeziona l'intera vicenda e che non rende possibile quel salto quantistico oltre ciò che viene messo in scena: l'immaginazione dello spettatore viene inibita dall'atmosfera palesemente fiabesca e ricca di eccessiva composizionalità che rende il tutto troppo statico e fisso lungo una certa linea di giudizio, che è quella imposta fermamente dall'autore, non permettendo così al pubblico di interagire con la vicenda e di andare oltre alla perfezione stilistica dell'immagine.
Un esempio di composizionalità
Composizionalità a triangolo











Composizionalità a triangolo











D'altra parte l'estetica scenografica rappresenta la cifra stilistica di Anderson e, per fortuna, non è solo un mero esercizio di stile, anzi, è in linea con il cinema teatrale che egli vuol mettere in scena e i suoi personaggi sono perfettamente in armonia con l'ambientazione. 
Di conseguenza l'insieme non può che essere originale e forse poco pregnante nei contenuti; ma a porre rimedio a questa pecca contenutistica interviene la macchina da presa focalizzata sull'espressione dei volti, uno sguardo che si discosta dalla favola per ritornare, in un breve ma intenso istante, alla realtà dei fatti, ossia all'incomprensione, alla solitudine, alla diversità e alla storia di formazione di due ragazzini che scoprono l'amore.
Sotto la spessa coltre favolistica si nasconde la realtà dei fatti che accomuna tutte le epoche e tutte le generazioni; in questa prospettiva l'unione tra poesia e problemi esistenziali risulta innovativa ed efficace, poichè i problemi dei fanciulli e quelli degli adulti vengono riuniti sotto un comune denominatore e vengono analizzati con il distacco tipico dello sguardo dei bambini sul mondo.


Wes Anderson in questo modo paragona il mondo dei piccoli al mondo dei grandi trovando numerose e fondate analogie: non a caso le storie d'amore qui sono due, quella tra Suzy e Sam parallela a quella segreta tra la madre di Suzy e il Capitano Sharp, con la differenza che la prima sarà pienamente vissuta in virtù della spensieratezza dei giovani contro il fallimento della seconda a causa delle disillusioni degli adulti.

Questa analogia tra i due mondi, esemplificativa del concetto che ci vuole trasmettere Anderson, ossia che tutti sono ancora un po' bambini e che il mondo potrebbe funzionare meglio se utilizzassimo la loro semplicità come regola di vita, spiega anche il fatto che non vi sono veri cattivi nei suoi film: essi sono cattivi solo perchè sono impregnati di quella rigidità tipica degli adulti.


L'armonia alla fine fine vince su tutto e con lei la colonna sonora in tema anni '60.

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