"è assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla TV"
Woody Allen

Il cinema non è un mestiere. È un'arte. Non significa lavoro di gruppo. Si è sempre soli; sul set così come prima la pagina bianca. E per Bergman, essere solo significa porsi delle domande. E fare film significa risponder loro. Niente potrebbe essere più classicamente romantico.
Jean-Luc Godard

Monday, December 24, 2012

Buon Natale!








Per un Natale all'insegna del cinema ecco alcuni film che vi consiglio per rendere ancora più dolci le vostre feste con amici e parenti!
Partiamo dall'amatissimo The nightmare before Christmas (1993) diretto da Henry Selick e ideato da Tim Burton in stop-motion. Un vera poesia! E non a caso il film si apre con questa filastrocca:
 « È stato molto tempo fa,

più di quanto ora sembra,
in un posto che, forse, nei sogni si rimembra,
la storia che voi udire potrete
si svolse nel mondo delle feste più liete.
Vi sarete chiesti, magari, dove nascono le feste.
Se così non è, direi... che cominciare dovreste! »



E sempre di Tim Burton vi propongo il classico Edward mani di forbice (1990),una commovente storia d'amore e di fantasia.

Per addentrarci nel mondo delle commedie natalizie vi proporrei il famosissimo e divertentissimo Una poltrona per due (1983) che viene dato in programmazione in tv ormai tutti gli anni. 

E per superare i vecchi classici alla A Christmas Carol, ormai rifatti in tutte le possibili salse, ho qualcosa di irriverente e politicamente scorretto come asso nella manica: Babbo bastardo (2003) di Terry Zwigoff, una commedia con un protagonista alla Jack Nicholson (a cui fu proposta la parte ma alla quale, con suo dispiacere, dovette rinunciare). 


Infine, per non rinunciare al gusto un po' retrò e al caro e buon vecchio film d'autore, perchè non guardare tutti insieme La vita è meravigliosa di Frank Capra (1946)?


Chi invece vuole rimanere fedele ad un genere più drammatico e ambientato in tempo di guerra potrà sicuramente giudicare soddisfacente Joyuex Noel (2005) di Christian Carion.

Per accostarci al cinema italiano ricordo Regalo di Natale di Pupi Avati (1986), Coppa Volpi a Venezia, e Una famiglia perfetta di Paolo Genovese che sta uscendo in questo periodo nelle sale italiane.








Buon cinema natalizio!

Saturday, December 22, 2012

Moonrise Kingdom



Wes Anderson lo presentò come film d'apertura a Cannes 2012 ricevendo una nomination nella categoria Palma d'oro.
In effetti lo stile di questo giovane regista statunitense, considerato da tutti la futura fiamma emergente del cinema, è molto ricercato dal punto di vista formale e non solo. 
Si tratta di teatrale stravaganza: il gusto un po' retrò (anni '60 in questa commedia e '70 ne I Tenenbaum), i colori accesi che rimandano ad ambientazioni surreali e fiabesche, la recitazione teatrale, appunto, degli interpreti e l'importanza della musica (in quest'ultimo lavoro è inconfondibile il contributo di Alexandre Desplat), l'ironia malinconica, la telecamera puntata sull'espressione dei volti e il costante intreccio tra il mondo infantile e quello adulto sono i punti cardine dell'intero cinema di Anderson. 
Il travestimento inteso come trasformazione
 è un gioco tipico dei bambini ed è un tema
presente nelle fiabe di magia
Il ritorno all'arte cinematografica intesa come pura poesia basata sull'estetica rappresenta un po' il limite del regista, che in qualche modo rende l'insieme troppo edulcorato a causa di eccessiva plasticità scenografica che, involontariamente influenza anche la recitazione degli interpreti: i personaggi sembrano stereotipati e, in quanto tali, sono più definibili come tipi che come caratteri. 
Le fiabe sono presenti anche nel film
I tipi, infatti, sono dei personaggi fissi che nel corso delle vicende della storia non mutano i loro atteggiamenti; tuttavia questa particolarità è in perfetta linea con il quadro generale che Wes Anderson ci offre della sua visione del mondo, ossia quello di una fiaba dai risvolti malinconici (e le fiabe, a partire da quelle di Esopo fino ad arrivare a quelle dei fratelli Grimm, sono proprio fondate su schemi ripetitivi di narrazione e su personaggi tipici: il protagonista che per raggiungere l'oggetto del desiderio deve combattere i cattivi alleandosi con aiutanti che condividono i suoi stessi ideali).
Quindi anche in questa fuga d'amore troviamo il protagonista, Sam, un po' emarginato perchè ha ideali puri e non condivisi dai suoi antagonisti, cioè gli altri ragazzi del campo scout, alla ricerca del suo amore, Suzy. I cattivi sono i genitori di Suzy e i servizi sociali che ostacolano l'amore tra i due; l'aiutante di Sam è il Capitano Sharp insieme a Randy Ward, capo scout. 
Il tutto coadiuvato da un'importante figura tipica delle commedie latine e reinterpretata in chiave moderna sotto le spoglie di un abitante del luogo in cui si svolge la vicenda: è colui che ci dà informazioni sulla vicenda e che interviene per commentarla (foto qui sotto)
Un altro limite rappresentato dall'eccessiva cura di dettagli è la conseguente patinatura di perfezione che confeziona l'intera vicenda e che non rende possibile quel salto quantistico oltre ciò che viene messo in scena: l'immaginazione dello spettatore viene inibita dall'atmosfera palesemente fiabesca e ricca di eccessiva composizionalità che rende il tutto troppo statico e fisso lungo una certa linea di giudizio, che è quella imposta fermamente dall'autore, non permettendo così al pubblico di interagire con la vicenda e di andare oltre alla perfezione stilistica dell'immagine.
Un esempio di composizionalità
Composizionalità a triangolo











Composizionalità a triangolo











D'altra parte l'estetica scenografica rappresenta la cifra stilistica di Anderson e, per fortuna, non è solo un mero esercizio di stile, anzi, è in linea con il cinema teatrale che egli vuol mettere in scena e i suoi personaggi sono perfettamente in armonia con l'ambientazione. 
Di conseguenza l'insieme non può che essere originale e forse poco pregnante nei contenuti; ma a porre rimedio a questa pecca contenutistica interviene la macchina da presa focalizzata sull'espressione dei volti, uno sguardo che si discosta dalla favola per ritornare, in un breve ma intenso istante, alla realtà dei fatti, ossia all'incomprensione, alla solitudine, alla diversità e alla storia di formazione di due ragazzini che scoprono l'amore.
Sotto la spessa coltre favolistica si nasconde la realtà dei fatti che accomuna tutte le epoche e tutte le generazioni; in questa prospettiva l'unione tra poesia e problemi esistenziali risulta innovativa ed efficace, poichè i problemi dei fanciulli e quelli degli adulti vengono riuniti sotto un comune denominatore e vengono analizzati con il distacco tipico dello sguardo dei bambini sul mondo.


Wes Anderson in questo modo paragona il mondo dei piccoli al mondo dei grandi trovando numerose e fondate analogie: non a caso le storie d'amore qui sono due, quella tra Suzy e Sam parallela a quella segreta tra la madre di Suzy e il Capitano Sharp, con la differenza che la prima sarà pienamente vissuta in virtù della spensieratezza dei giovani contro il fallimento della seconda a causa delle disillusioni degli adulti.

Questa analogia tra i due mondi, esemplificativa del concetto che ci vuole trasmettere Anderson, ossia che tutti sono ancora un po' bambini e che il mondo potrebbe funzionare meglio se utilizzassimo la loro semplicità come regola di vita, spiega anche il fatto che non vi sono veri cattivi nei suoi film: essi sono cattivi solo perchè sono impregnati di quella rigidità tipica degli adulti.


L'armonia alla fine fine vince su tutto e con lei la colonna sonora in tema anni '60.

Wednesday, December 12, 2012

Il sospetto



Thomas Vinterberg presenta Il sospetto, il cui titolo originale è La caccia, al Festival di Cannes 2012 facendo vincere a Mads Mikkelsen, interprete del protagonista Lucas, il premio per la migliore interpretazione maschile. 
Il regista tratta il tema della pedofilia mettendo in scena un'ambientazione austera e dei personaggi fatti ad hoc per esercitare un clima di panico, poi di rabbia e, infine, di vera e propria caccia nei confronti del presunto colpevole. 
Il film si apre con una scena di caccia per i boschi della Danimarca, sport molto praticato tra gli uomini del piccolo paese in cui è ambientata la vicenda. Lucas è conosciuto e stimato da tutti, frequenta la virile compagnia di cacciatori e lavora in un asilo, unico uomo in un team di maestre. 
Klara, la figlia di cinque anni del suo migliore amico Theo, è iscritta nella scuola in cui lui lavora e trovandosi a disagio nell'ambiente famigliare in cui vive, sia a causa dei continui litigi dei genitori, sia a causa di un fratello adolescente irresponsabile, traspone il complesso di Elettra (corrispettivo di quello di Edipo nelle bambine) dal padre Theo al suo migliore amico Lucas.
Proietta in questo modo la carenza affettiva nei confronti del suo maestro, donandogli
persino un oggetto a forma di cuore accompagnato da un bacio a tradimento sulla bocca. Lui, colto alla sprovvista, la prende da parte e la rimprovera; lei si sente imbarazzata, rifiutata, e decide di vendicarsi traendo spunto dalle conversazioni sporche del fratello con i suoi amici.
La bugia della presunta violenza subìta non tarda a promulgarsi prima tra le maestre dell'asilo, poi tra i genitori e quindi per tutto il paese.
Il regista riesce a porre sulla sua scacchiera i pezzi giusti per intessere un clima nero, a dir poco animalesco, di lotte e screzi tra la vittima innocente e i suoi carnefici; le fondamenta di questo stratagemma sono prettamente psicologiche.
La prima è dettata da un luogo comune che il regista contraddice totalmente: i bambini dicono sempre la verità, sono innocenti. Il fatto che il pubblico sappia da che parte stia la verità, non fa che accrescere il suo odio per la comunità ingiusta e la sua solidarietà per il capro espiatorio (tanto che nella scena in cui Lucas si ribella finalmente ai soprusi subìti in un supermercato, il pubblico del festival ha reagito con applausi liberatori). Potremmo pensare che il regista abbia voluto giocare più sulle emozioni che sulla ricerca di uno sviluppo originale del tema stesso?



Il secondo punto su cui si basa il clima di caccia è il comportamento degli adulti: i genitori della piccola Klara non ascoltano davvero ciò che lei più volte tenta di spiegare, cioè la verità, ma applicano un processo psicologico di rinforzo nei confronti di ciò che loro vogliono sentirsi dire dalla figlia, perciò molte volte la bambina viene inibita dalle parole degli stessi adulti fino a risultare confusa sulla verità stessa della vicenda.
Tutti questi espedienti narrativi mettono in luce le angherie tra esseri umani e il clima di diffidenza che, per empatia con la vicenda di Lucas, anche il pubblico prova nei confronti di falsi amici che fanno del male gratuito ad un innocente; il regista si è garantito, in questo modo, il beneficio assoluto del pubblico, mettendo da parte la risoluzione al problema per lasciarsi trasportare da un eccesso di enfasi.
Vinterberg pilota gli spettatori e li guida verso l'unica verità possibile, facendo provare loro lo stesso odio del protagonista e rendendo scontata l'accusa così come la difesa.
A questo proposito si potrebbe citare Il dubbio di John Patrick Shanley, dal tema analogo, dove tuttavia vi è un coinvolgimento maggiore del pubblico che, imparziale, viene chiamato a decidere da che parte stia la verità ascoltando sia l'accusa che la difesa, entrambe altrettanto valide, al punto da insinuargli, appunto, un vero e proprio dubbio. In questo caso lo spettatore può concentrarsi maggiormente sia sulle differenti psicologie dei protagonisti in gioco (mentre ne Il sospetto gli unici due opposti sono Klara e Lucas) sia sulla varietà della narrazione che trova spazio in continui colpi di scena e insinuazioni. Certo potrà sentirsi spiazzato, tuttavia sarà certo di coltivare un vero sospetto che nel caso di Vinterberg non c'è. 
La caccia domina l'intero film, da cui giustamente prende il titolo originale, e si tratta di una duplice caccia: quella dei concittadini contro Lucas e della nostra contro i concittadini. 
La scena finale della caccia per i boschi, simbolo dell'avvenuta pacificazione tra il protagonista e i suoi vecchi amici, conferisce circolarità al film e una nota di tristezza e amarezza nei confronti del genere umano: qualcuno che non ha accettato ancora la verità cerca di sparare a Lucas, senza colpirlo. 
Ecco che cade  ancora una volta il velo di apparenza ed è subito il sospetto.

Thursday, November 29, 2012

Arancia Meccanica

Stanley Kubrick realizzò Arancia Meccanica nel 1971 dopo aver letto e apprezzato (tanto da comprarne i diritti) l'omonimo libro di Anthony Burgess del 1962. Come il film nemmeno il libro venne apprezzato date le efferate violenze descritte dal protagonista-narratore, il giovane Alex (a-lex dal latino "senza legge"). 


Malcom McDowell e Stanley Kubrick
La critica si concentrò sull'analisi dei contenuti brutali più che sul vero messaggio su cui lo stesso autore più volte poneva l'accento parlando della sua opera: uno Stato che si arroga di manipolare la scelta fra bene e male non è forse un male peggiore del male che può commettere il singolo, dotato di libero arbitrio?
Questo sarà il fulcro attorno al quale ruoterà la messa in scena di Kubrick sulle vicende di Alex e dei suoi Drughi ("amico" in russo). 

La violenza diverrà la vera protagonista senza tempo in un'ambientazione quasi futurista: gli interni del Korova Milk Bar, della casa di Alex o di quella dello scrittore Alexander sono asettici, ispirati alla pop art e al suo precedente capolavoro 2001: Odissea nello spazio. In quest'ottica atemporale non pare difficile considerare Arancia Meccanica e il tema della violenza gratuita come un
problema che accomuna l'uomo in tutte le sue epoche, anticipando addirittura l'uso che si farà di questa in futuro, contribuendo così all'appellativo di visionario che verrà meritatamente assegnato a Kubick. Già, perché in questo si potrebbe parlare di due violenze ben definite: quella primitiva e istintiva di Alex e quella subdola e ipocrita dello Stato. 
Il regista paragona il personaggio di Alex a quello storico di Riccardo III per il represso lato selvaggio tipico dell'essere umano; secondo questa prospettiva pessimistica nemmeno l'arte e la cultura sono sinonimi di integrità umana, nonostante l'uomo ne faccia continuo uso. Come afferma lo stesso Kubrick, i Drughi e i nazisti sono due immagini speculari della stessa medaglia, ossia entrambi amano la musica, nella fattispecie Alex adora Beethoven (il "dolcissimo Ludovico van" come lo definisce egli stesso) e Rossini, eppure questo non li eleva ad uno stadio migliore di quello degli esseri immondi. 

Alex usa violenza per ammazzare il tempo, come gioco, spinto dal puro istinto al quale non segue rielaborazione razionale. Nelle scene più cruenti, dallo stupro alle botte anche tra Drughi, vengono utilizzate in sottofondo alcune opere di Beethoven e Rossini quasi a voler sdrammatizzare e ironizzare gli atti di Alex, in una sorta di tentativo di denaturazione degli stessi, proprio per allinearli e farci allineare alla prospettiva del drugo. Stessa funzione svolge la voce fuori campo di Alex, gentile ed educato nel rivolgersi al suo pubblico, definendosi come "il vostro amatissimo": è un espediente creato appositamente per destare l'identificazione inconscia del pubblico, che partecipa alle sue poco nobili esperienze, con le violenze del ragazzo. E ancora il linguaggio parlato dai Drughi, tra l'arcaico e il forbito, tende a destabilizzare lo spettatore che si ritrova a provare allo stesso tempo odio e compassione per il protagonista, incapace di un giudizio definitivo proprio per il binomio contrastante che anima i ragazzi, cioè cultura e violenza.
L'elemento erotico e grottesco sparso qua e là in più occasioni arricchisce il genere cinematografico di cui si fa portatore Arancia Meccanica e amplia gli ambiti di indagine del fenomeno della violenza. Lo stupro della moglie dello scrittore, le frequenti immagini di nudo (il rapporto a tre tra Alex e due ragazze) e le scene dal chiaro significato erotico
(quella del serpente di Alex che striscia vicino al quadro di nudo femminile appeso in camera o la scultura con cui Alex ucciderà la signora con la casa piena di gatti) 
rappresentano la denuncia di Kubrick verso i mass-media che avevano favorito la crescente mercificazione del corpo della donna iniziata negli anni '70 e continuata fino ad oggi. 

Questa appena descritta potrebbe rappresentare la prima parte dell'intero film, quella in cui la violenza impetuosa del giovanissimo Alex, che in teoria starebbe ancora frequentando la scuola, lascia spazio solo alla costernazione e alla paura.
Nella seconda parte del film si parla, appunto, di violenza dello Stato. Alex, finito in carcere, riesce a farsi sottoporre ad un nuovo tipo di cura sperimentale chiamata cura Ludovico. Essa consiste per lo più nella visione costrittiva (con metodi poco ortodossi) di filmati violenti per tante ore al giorno; tra questi filmati uno in particolare tratta di Hitler e della Germania nazista e ha come sottofondo musicale la nona Sinfonia di Beethoven. Alex, a quel punto, si sente impazzire, non può sopportare la bellezza del suono del dolcissimo Ludovico van abbinata alle crude immagini proiettate. 
Proprio questo è l'inizio dell'effetto positivo della cura: Alex guarisce, non riesce più ad assistere nè ad usare violenza contro qualcuno. Diventa docile, vulnerabile, incapace di difendersi. 
Ed è questo il punto cruciale che detiene il significato dell'intero film: è immorale togliere ad un uomo la libertà e il libero arbitrio trasformandolo in un'arancia meccanica, in un oggetto senza volere nè potere, privandolo della sua natura violenta, prerogativa di tutti gli uomini? Il male adottato dallo Stato per sanare il crimine è peggiore del male commesso da Alex? Fino a che punto lo Stato può intervenire attuando radicali cambiamenti nella natura umana? 
Alex tornerà a casa, ma sarà rifiutato dai genitori e per la legge del contrappasso subirà tutte le ingiurie da parte di chi  era stato costretto a subire le sue. Nessuna pietà, nemmeno da parte dei Drughi, ormai diventati poliziotti, che quasi lo faranno morire annegato.  
Non c'è più posto per Alex, la stessa società lo denigra come un branco di animali feroci fa con l'esemplare più debole. 
La storia di Alex è una discesa verso gli inferi, è una storia analoga a quella di Pinocchio, abbandonato dal grillo e dalla fata Turchina.
Tenterà il suicidio fino a quando, in un letto d'ospedale, i genitori si rendono conto del fatto che forse avrebbero dovuto seguire meglio loro figlio e il Ministro degli Interni fa una visita di cortesia ad Alex, facendo tante promesse sulla sua futura riabilitazione (che mai avverrà; era solo un buon proposito utilizzato come propaganda per le nuove elezioni politiche). Alex è stato usato e poi gettato via senza nessun rimpianto; anche lui è stato vittima di violenza subdola e velata sotto il falso nome di "solidarietà". 
Ora, tuttavia, la si illude di condurre finalmente una vita migliore accompagnata dall'amato sottofondo musicale di Beethoven che gli evoca scene di divertimenti e baldorie: gliel'hanno promesso!

Friday, November 16, 2012




L'uomo che non c'era



Joel ed Ethan Coen mettono a disposizione di questa sceneggiatura premiata a Cannes e dal David di Donatello nel 2001 una fantastica fotografia in bianco e nero.
Ed Crane (Billy Bob Thornton) è un aiuto barbiere, lavora nel negozio di suo cognato ed è un uomo senza troppe pretese; la sua voce fuori campo ci accompagna fino alla fine per tutta la durata della vicenda, forse nascondendo la sua rassegnazione e la sua accidia dietro il velo di calma e pacatezza apparenti. 
Certo è che il personaggio di Ed è delineato così bene in tutti i suoi particolari che sembra a tratti quasi sfuggente, a tratti un essere umano a metà, con qualcosa di incompiuto e non detto rievocato dai suoi silenzi. 
L'uomo che non c'era è la storia della vita di un uomo qualunque, considerato mediocre, travolto dagli eventi del destino, incapace di sottrarsi e di lottare contro di essi. 
Il montaggio e il modo in cui sono girate le scene contribuiscono a dare quel senso di frammentazione proprio della vita del protagonista, in cui ogni evento sembra un pezzo di puzzle a sè stante al quale deve essere ancora dato un senso per potere avere una visione completa del disegno finale; solo il flusso di coscienza dato dalla voce fuori campo di Ed riesce a creare un filo di collegamento alla vacuità dei vari pezzi della sua esistenza.
Ciò è evidente nelle scene in cui Ed, guardando la moglie dormire, si accorge di quanto poco la conosca poi, allo squillo del telefono,  interrompe il flusso dei suoi pensieri per rispondere e recarsi a grande magazzino di Big Dave (James Gandolfini), l'amante della moglie che lui aveva precedentemente ricattato in forma anonima per estorcergli diecimila dollari per finanziare un progetto che si dimostrerà fasullo. In quest'occasione, dopo una colluttazione dovuta alla scoperta di Big Dave delle azioni di Ed, quest'ultimo lo uccide, ritorna a casa e riprende i suoi pensieri sulla moglie da dove li aveva interrotti.
La vita di Ed assumerà una svolta ancora più drammatica quando sua moglie verrà accusata dell'omicidio dell'amante finendo poi per suicidarsi; a quel punto il marito si accorgerà di non essere riuscito a mettere al proprio posto anche questo frammento della sua vita, perciò deciderà di spendere tutte le sue speranze e le sue forze nella realizzazione del sogno della figlia pianista (Scarlett Johansson) del suo amico. 
Tuttavia il suo puro altruismo non lo ricompenserà perchè d'un tratto verrà arrestato per un omicidio mai commesso. 
Non c'è più posto nel mondo per un barbiere come Ed: è un uomo che non c'è su cui l'attenzione delle persone non si sofferma, basti pensare alla scena in cui l'avvocato difensore della moglie non crede alla verità sull'omicidio di Big Dave che Ed gli sta ponendo su un piatto d'argento. è rimasto nell'ombra quando ha ucciso, rimane nell'ombra quando decide di seguire la strada dell'altruismo. 
è un personaggio incompreso che però non fa un dramma della sua natura: quando verrà condannato alla sedia elettrica, egli dirà sinceramente , senza note di orgoglio o falsa determinazione nella voce, di non rimpiangere nulla di ciò che ha fatto. 
Importante e costante metafora della frammentarietà della vita sono i capelli tagliati: Ed si chiede che cosa li faccia crescere dopo un breve periodo anche dopo la morte, se sia giusto reciderli dato che fanno parte di noi. In seguito assocerà i capelli agli esseri umani, alla vita nell'aldilà che lui stesso dovrà varcare.
Le sue ultime parole sulla sua vicenda scritta dal carcere per una rivista gli permetteranno, infine, di cogliere la visione d'insieme della sua vita e il fatto che la verità più la si guarda  e la si ha sotto gli occhi, più ce ne si discosta, come aveva affermato l'avvocato cadendo egli stesso vittima, però, della sua stessa teoria.
























Sunday, November 4, 2012

Io e te


Standing ovation al Festival di Cannes 2012: Io e te di Bernardo Bertolucci ha conquistato il grande pubblico per la dolce irruenza con cui i due giovani protagonisti, fratellastri, Lorenzo e Olivia, si scontrano e si incontrano nel buio di una cantina. 
Sì, perchè Lorenzo ha detto ai genitori che avrebbe trascorso una settimana bianca con i suoi compagni di scuola, evento più unico che raro dal momento che il ragazzo quattordicenne è asociale ed egocentrico; in realtà ha già organizzato tutto per rendere il suo soggiorno in cantina il più confortevole possibile. Un po' di musica, un libro horror sui vampiri, il suo pc e un formicaio: non serve nient'altro oltre al silenzio e al buio che lo isolano dal mondo circostante. D'altronde i suoi atteggiamenti nei confronti degli altri sono scostanti; nemmeno la madre riesce a cogliere la sottigliezza delle domande del figlio, non riesce nemmeno a controllare la sua aggressività, a temperare il suo desiderio di solitudine. 


Tra Lorenzo e i suoi compagni di scuola c'è un muro fatto di musica che la voce non riesce a penetrare e subito la normalità dello scorrere dei giorni crea un solco invalicabile che divide il ragazzo dal resto del mondo. 
Per Lorenzo, che tutte le settimane va da uno psicologo, normale significa nulla. 
Olivia è la sorellastra venticinquenne di Lorenzo. Irrompe per caso nella sua cantina, in una maniera resa aggressiva dal costante utilizzo di droghe pesanti: la diffidenza, lo sguardo allucinato iniziale e la mancanza di coscienza la ritraggono come l'opposto del fratello, nè in positivo nè in negativo. 
Sono due poli di una stessa gioventù disagiata, il cui comune denominatore è la rabbia accresciuta da diverse motivazioni. 
La cantina viene a rappresentare, così, una specie di isola inaccessibile, un mondo parallelo in cui non ci sono distinzioni, in cui si è uguali e si lotta per e contro se stessi allo stesso tempo, dove non si è mai soli. Paradossale è il fatto che il mondo di Olivia e Lorenzo, un universo di reietti dalla società, diventi  un mondo solidale nella sofferenza: la solitudine dell'uno e la disintossicazione da droghe dell'altra. 



Pare che lo spazio della cantina sia più vero e genuino del mondo esterno, con cui nessuno dei due ha più molto contatto durante la settimana. Il regista, infatti, ci pone di fronte ad un distacco netto tra l'interno e l'esterno: la cantina funge da incubatrice per i due giovani protagonisti, da luogo protettivo, da luogo di ritrovo, da vero focolare famigliare, contrapposto all'appartamento in cui i ragazzi irrompono come due ladri solo per procurarsi del cibo. 


Lo spazio esterno sembra immenso al confronto e forse un po' caotico, lo dichiara il regista con l'ampia inquadratura aerea finale, elevandosi sulle teste dei due protagonisti, cosa mai avvenuta durante il film, in cui le riprese erano sempre ad altezza uomo, se non più basse (questo perchè il regista ormai da anni è costretto a spostarsi in carrozzella).

C'è molta individualità nella regia intimista di Bertolucci: il dramma dei singoli personaggi è vissuto nel privato dei loro pensieri, viene condiviso talvolta tra i due ragazzi, ma mai con il pubblico, che osserva incapace di giudizi o pregiudizi, portato solo a commuoversi per questa gioventù bruciata del ventunesimo secolo. 
La speranza di un cambiamento aleggia tra le parole e le promesse dei due fratelli, ma tutto sembra molto fragile perchè fragili sono le vite di Olivia e Lorenzo, i loro pensieri, i loro sogni, le loro decisioni perchè, d'altronde, quando si è giovani si vogliono raggiungere tanti traguardi e nei modi più originali possibili, per sapere di essere davvero unici. In realtà tutto può cambiare da un momento all'altro, tutto è sottile e il confine tra un eccesso e l'altro è facile da superare. 


C'è molto di non detto tra Olivia e Lorenzo, molto che ancora entrambi devono scoprire di loro stessi; il silenzio, gli sguardi e i gesti sono il linguaggio dei giovani e perciò a prima vista potrebbe sembrare che manchi qualcosa in Io e te, eppure tutto sembra al posto giusto. 
I sentimenti umani crescono e sfioriscono silenziosamente, soprattutto nel mondo giovanile, perciò il regista ha saputo dare l'accento e il sapore giusto alla tipica incertezza che caratterizza questa età così turbolenta. 
I personaggi sono loro stessi e non se ne preoccupano davanti al pubblico, si barcamenano da un eccesso all'altro con la tipica naturalezza di chi non ha trovato ancora il proprio posto nella vita, e la musica conferisce un senso di originalità a tutto questo; basti pensare alla magistrale e commovente scena girata sulle note di Space Oddity di David Bowie trasposta in italiano con il titolo Ragazzo solo, ragazza sola
In questo momento densamente carico di amore fraterno il regista raggiunge l'apice dell'espressività artistica coinvolgendola nell'efficace raffigurazione della potenza di un linguaggio alternativo, cioè quello della musica, che racchiude in sè il fulcro fondamentale di tutto il film, ovvero la capacità di sfruttare il "non detto" al punto da farne la forza di una nuova comunicazione di intesa che va oltre i dialoghi e i monologhi sforzati ed innaturali.
Insomma, l'atmosfera è quella giusta, è quella realistica, niente drammi od orpelli, solo immagini essenziali, semplici, proprio come potrebbero essere viste dalla prospettiva di un ragazzo. 


Diffidenza, amicizia, amore e poi il vuoto, due vite ancora da scrivere, tutto ancora da stabilire: il regista non ci illude con false speranze, d'altronde la vita è dei due protagonisti, decideranno loro cosa fare, lui assiste soltanto. Assistiamo anche noi e resteremo sempre nel dubbio su come andrà il futuro: forse è proprio l'incertezza finale, il fatto che Lorenzo sia all'oscuro della decisione di Olivia di continuare a drogarsi, il fatto che noi stessi, come spettatori, ci sentiamo impotenti nel cambiare il corso degli eventi a favore dei due ragazzi che ormai hanno conquistato il nostro cuore, forse è proprio tutto ciò a lasciarci con il desiderio di sapere qualcosa di più, con la convinzione che forse c'è qualcosa ancora da dire, che Lorenzo deve per forza cambiare per il suo bene, che Olivia deve fare altrettanto per lo stesso motivo ...
In realtà è una questione di punti di vista, come spiega Olivia al fratello: non bisogna rinchiudersi nel proprio mondo senza fare nulla per mettersi in gioco. Al contrario è importante che ognuno dia il proprio contributo, che ognuno esprima i propri punti di vista per rendere il mondo così diversificato qual è, altrimenti sarebbe come un muro bianco e nè io nè te esisteremmo.