"è assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla TV"
Woody Allen

Il cinema non è un mestiere. È un'arte. Non significa lavoro di gruppo. Si è sempre soli; sul set così come prima la pagina bianca. E per Bergman, essere solo significa porsi delle domande. E fare film significa risponder loro. Niente potrebbe essere più classicamente romantico.
Jean-Luc Godard

Sunday, July 14, 2013

Monsieur Verdoux


Questa tragicommedia del 1947, interpretata e diretta da Charlie Chaplin, segna il ritorno del regista sul grande schermo dopo i sette anni di silenzio trascorsi dopo Il grande dittatore. Un ritorno controverso che tacciò Chaplin come comunista e nemico dell'America (infatti durante il Maccartismo americano degli anni '50 il regista dovette trasferirsi definitivamente in Europa). 
Da sempre attento a temi a lui contemporanei (e sempre attuali) come l'alienazione del lavoro attraverso il suo intramontabile personaggio Charlot, in quest'occasione, con l'avvento del sonoro, Chaplin decide di incarnare un personaggio con una forte dualità per rappresentare al meglio le ipocrisie e le contraddizioni del mondo ( e nella fattispecie dell'America puritana e bigotta). 
Henri Verdoux è un impiegato bancario nella Francia a cavallo delle due Grandi Guerre. Con la crisi economica viene licenziato e si trova costretto ad escogitare un piano per mantenere la sua famiglia, ovvero diventare un serial killer di nobildonne non prima di averle sposate e di aver acquisito la loro eredità. Così Henri si trova a vestire contemporaneamente i panni di più personalità inventate. Chaplin ha preso ispirazione dalla storia vera di un serial killer francese conosciuto come Henri Landru o Barbablù. Comicità, equivoci e ironia tragica non mancano anche se ormai Chaplin ha abbandonato definitivamente le gag e le movenze del cinema muto e ha imparato a fare un uso sapiente del sonoro: di denuncia e di disincanto. Nonostante ciò è ancora visibile la mimica facciale ingenua e ammiccante del tenero Charlot.
Con  Monsieur Verdoux Chaplin si distacca dall'ingenuità e dall'ottimismo che caratterizzavano il personaggio di Charlot per avvicinarsi ad una critica dura e realistica nei confronti dell'uomo moderno e dell'impiego delle risorse dei paesi in armi e, in generale, in ciò che non fa progredire valori quali uguaglianza e solidarietà. 
Henri è un personaggio ambivalente: da un lato è un amorevole padre di famiglia, un povero proletario sfruttato dalla macchina del progresso, che viene gettato via nonostante i suoi trent'anni di forsennato lavoro. 
Dall'altra parte è un cinico omicida che si scontra con la società capitalista, con le sue leggi spregiudicate, con i suoi inganni e le sue contraddizioni: è questa società che l'ha costretto a dover vivere in una condizione di illegalità volta al solo raggiungimento del benessere materiale.
Essendo consapevole di quanto detto, non è difficile capire perchè alla fine Henri decida di espiare comunque le sue colpe; davanti alla corte spiegherà le sue profonde convinzioni e, in generale, il succo dell'intero film (qui in versione originale). Henri ammette di essere un omicida come lo sono le nazioni in guerra e anche meno esperto di quest'ultime: "Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo; i numeri legalizzano". Egli pone l'attenzione su quanto ogni cosa sia relativa al contesto che la attornia: anche la bomba atomica è "un'omicida", soltanto che è un modo "più scientifico" di compiere lo stesso atto di Henri, sono sempre "affari". Il fine che accomuna Verdoux e la società è il medesimo, sebbene raggiunto con mezzi differenti: la distruzione dell'uomo. 
Infine il saluto mosso ai giudici, "A ben rivederci", esprime il destino che accomuna tutti gli uomini sulla Terra, ovvero la morte, condizioni egualitaria di ricchi e poveri.
La pellicola venne interpretata come una prova dell'antipatriottismo di Chaplin e sottoposta alla censura che alla fine non intaccò più di tanto il capolavoro del regista. Verdoux, condannato alla ghigliottina, è il simbolo della condanna morale della società che, a differenza del protagonista, preferisce non espiare le sue colpe, ma vivere nell'apparente buonismo.










Tuesday, July 9, 2013

Twelve angry men




Il film è la prima opera registica di Sidney Lumet e gli fruttò un riconoscimento internazionale quale l'Orso d'oro di Berlino del '57. Lumet tratta il tema del razzismo e dei pregiudizi di razza in un contesto risolutivo come quello del tribunale e di una corte di giurati, comuni cittadini, che deve fornire il suo verdetto al giudice su un caso di parricidio commesso da un ragazzo immigrato. 
Quasi tutta la vicenda si svolge nella stanza in cui i giurati si riuniscono per decidere la sorte del giovane.
Dei dodici giurati non si conosce nome, ma solo un numero che viene assegnato in base alla loro posizione attorno al tavolo, e solo in un caso la vita personale di uno emerge e si intreccia al racconto. Per conoscersi i giurati chiedono il lavoro che svolge l'altro; Lumet non a caso tralascia nei dialoghi informazioni personali dei suoi personaggi, facendo emergere solo il lato più alienato e utilitaristico quale quello del lavoro.
Tutti i giurati sembrano trattare la faccenda come un caso privo di particolare interesse, tranne il giurato n.8 (Henry Fonda).
Il giurato n.8 è l'unico che mette in dubbio la colpevolezza del ragazzo e che prende davvero in considerazione le incongruenze delle prove che nessuno ha mai considerato. 
Piano piano le sue riflessioni riusciranno a convincere tutti gli altri giurati, anche quelli più recidivi, violenti e razzisti, dell'innocenza del ragazzo. 
Attraverso i dialoghi e la gestualità dei suoi personaggi Lumet pone l'accento sull'indifferenza dell'uomo (ad esempio quando il giurato n.7 non vede l'ora di andare a vedere la partita, o quando il giurato n. 12 è intento a parlare solo del suo lavoro). Inoltre il tema del razzismo è ampiamente criticato con una scena molto costruita e dal gusto teatrale: il giurato n.10 dimostra la colpevolezza del ragazzo facendo un discorso sulle differenze per natura, sul fatto che il ragazzo straniero è per natura un disadattato e un assassino perchè non vive come persone civili. 
Durante questo discorso uno ad uno gli altri giurati si alzano dal tavolo dando le spalle al collega che parla il quale, alla fine, si auto-esilierà in un tavolino in un angolo della stanza, senza più pronunciare parola. 
Ogni giurato rappresenta un sentimento umano negativo, come l'ira, il rimpianto, l'apatia; infatti molti giurati non sanno nemmeno giustificare il perchè della loro scelta di giudicare colpevole o innocente l'imputato. In effetti negli studi di psicologia sociale è stato dimostrato che la minoranza, se convincente e persistente nei suoi ideali, può influenzare la maggioranza.
Lumet è riuscito a mostrare le debolezze umane, il desiderio dell'uomo di giudicare come se fosse al di sopra di tutti gli altri esseri, l'ira che si riversa sui proprio simili e, nella fattispecie, sui propri figli e sulle proprie aspettative di genitore. Lumet mostra come la freddezza dell'uomo, preso dai suoi affari e dal competitivo mondo del lavoro, aumenti l'impassibilità del cuore e dei sentimenti, fino a riuscire a parlare della morte con leggerezza e impassibilità.
Alla fine, quando riusciranno a sciogliere i nodi più profondi dei loro caratteri, si riconosceranno capaci di ritrovare l'armonia primordiale, come si vede nell'ultima scena in cui viene finalmente svelato il nome di due dei giurati, i primi che si erano dichiarati contrari alla condanna a morte dell'imputato, che, simbolicamente, rappresentano l'uscita dei personaggi dall'anonimia per ritrovare la propria identità.