"è assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla TV"
Woody Allen

Il cinema non è un mestiere. È un'arte. Non significa lavoro di gruppo. Si è sempre soli; sul set così come prima la pagina bianca. E per Bergman, essere solo significa porsi delle domande. E fare film significa risponder loro. Niente potrebbe essere più classicamente romantico.
Jean-Luc Godard

Saturday, May 25, 2013

The Great Gatsby


Baz Luhrmann, già regista di Moulin Rouge! e Romeo + Giulietta (per citare i film più rappresentativi del suo genere barocco), ha trovato la combinazione vincente per riportare in auge un classico di Farncis Scott Fitzgerald, scritto nel 1925 e ambientato a New York e a Long Island nei ruggenti anni  '20 (estate 1922).
Presentato a Cannes fuori concorso in occasione della cerimonia di apertura, non ha ricevuto tanto calore dal pubblico e dalla critica. 
In realtà il regista ha saputo andare oltre le apparenze stilistiche tipiche dei suoi film e non ha trascurato il vero spirito del romanzo; certo, la fastosità delle scene, le musiche che mescolano dance ad armonie anni '20, i costumi e la storia d'amore potrebbero mettere in secondo piano il vero cuore dell'intero romanzo e del film, eppure personaggi e dialoghi di Luhrmann non sono lasciati al caso, ma ben studiati proprio per unire modernità a classicità.
Il regista è fedele in tutto e per tutto allo spirito del romanzo.
Quando Fitzgerald scrisse Il grande Gatsby si trovava in un periodo difficile a causa di problemi legati all'alcol. La figura di Gatsby non era altro che il suo alter ego; Fitzgerald sentiva di dover mettere ordine ai suoi pensieri e alla sua vita perchè sentiva di essere rifiutato da quell'esplosione di "civiltà", di ricchezza finanziaria del paese, di espansione industriale, di folle pronte ogni sera a divertirsi, di frenesia generale che non lasciava spazio a nulla se non al materialismo. I ruggenti anni '20 e l'Età del jazz sono stati tutto questo sia per Fitzgerald sia per Gatsby. Entrambi, tuttavia, cercano qualcosa di proibito in tutta quella frenesia, cioè di seguire sogni semplici e spirituali, come l'amore. Gatsby incarna quindi l'altra faccia della medaglia: la solitudine, ciò che Fitzgerald definisce come la malattia di quell'epoca.
Nel film vengono ricalcati il medesimo stile e gli stessi espedienti narrativi impiegati nel libro, come la voce narrante di Nick Carraway, spettatore sempre più sconcertato dalla povertà di sentimenti che anima la ruggente New York che rimane, tuttavia, sempre più appariscente e luminosa. 

Inoltre vengono prese citazioni direttamente dal libro, come la considerazione fatta da Nick sui ricchi di New York, in particolare su Daisy, sua cugina, amata alla follia da Gatsby, eppure incapace di vivere a pieno il suo sentimento per lui preferendo farsi scivolare addosso ogni cosa per non rischiare.
 "Erano gente indifferente, Tom e Daisy - sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia indifferenza o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto"
Luhrmann ha voluto creare due poli opposti: la fragilità tra Daisy e Gatsby e la sfarzosità di un'indifferente New York, rappresentata dal simbolo dei due occhi di un vecchio cartellone pubblicitario che fissano il cantiere di nuove costruzioni che amplieranno il quartiere. Quei due occhi rappresentano il Dio dei tempi moderni e del denaro, molte scene e molti dialoghi rimandano a quest'idea, centrale anche nella rappresentazione consumista della Grande Mela descritta da Fitzgerald.
I personaggi sono ben caratterizzati sia nei dialoghi che nel modo personale di vivere la vicenda: l'ingenua e volontariamente illusa Daisy ("In questi tempi una ragazza deve essere bella e stupida"), l'uomo d'affari Tom, suo marito, il semplice Nick, portatore del significato dell'intera vicenda, e Gatsby, il sognatore, colui i cui sentimenti non sono stati ancora corrotti, colui che vive in funzione della luce verde sul molo, colui che morirà nell'illusione di essere ricambiato di un sentimento puro come quello provato per Daisy, colui che rimpiange il passato e che va alla sua ricerca disperata. Tra Daisy e Gatsby non c'è vera comunicazione, solo rimpianto per un passato non vissuto e tanta indifferenza da parte di lei, come tanta futile speranza da parte di lui. 
Tutto questo Baz Luhrmann lo dice con serietà lasciando la parola ad un eroe romantico come il suo protagonista e ad una società indifferente come la giovane e incosciente cittadinanza che passa le serate a far baldoria in casa del misterioso Gatsby senza nemmeno essere presente al suo funerale.
La serie di eventi fortuiti che muovono il racconto sono intrecciati con maestria e con il medesimo distacco sia da Fitzgerald sia dal regista che, proprio per questo, coglie l'opportunità di concentrarsi non solo sulla drammaticità dipinta dallo scrittore, la cui morale è lasciata commentare dal narratore Nick Carraway, ma anche sugli effetti più eccentrici e coinvolgenti tipici del suo stile.
La colonna sonora è capace di reinventare il jazz unendolo a rap e dance,contribuendo a creare un mix di colori e situazioni che vanno dal polo del divertimento a quello dell'intimità con ritmo convincente e per niente nostalgico di quegli anni, ma desideroso di innovazione e originalità, un po' come per le colonne sonore di Moulin Rouge!.
Rimanendo fedele allo spirito del libro, Baz Luhrmann ha evitato di scadere nel banale o nell'eccessivo estetismo fine a se stesso, ma l'ha ben integrato e contrapposto alla sostanza dei suoi personaggi e allo spessore dei dialoghi: ha creato un mix fresco che rende Il Grande Gatsby godibile per gli occhi e il cuore. D'altronde nemmeno il romanzo di Fitzgerald rifiuta la realtà ricca ed esagerata di quegli anni ma si limita a descriverla così come viene vissuta. I suoi personaggi ne sono coinvolti, la animano a loro volta, e non c'è da stupirsi se nel libro come nel film non ci sono nè eroi nè vincitori, ma solo dèi ed icone decadute, dimenticate come tutto quello che è di consumo; non brilleranno forse per i grandi ideali o sentimenti che hanno, ma non è colpa loro, bensì di una società che richiede l'apparenza. 

Ecco alcuni dei più bei soundtracks:
Young and Beautiful Lana Del Rey
Love is blindness Jack White
Where the wind blows Coco o. of Quadron
Love is the drug Bryan Ferry Orchestra
Crazy in Love Emeli Sandè ft, Bryan Ferry Orchestra

Wednesday, May 15, 2013

Gosford Park


Humor british, commedia, psicologia, denuncia sociale, teatralità: questi sono gli ingredienti tipici di un giallo alla Robert Altman.
A Gosford Park nel 1932, residenza di Sir William McCordle, vengono invitati parenti e amici per un tranquillo e formale fine settimana di false cordialità e pettegolezzi. Unico inconveniente: l'omicidio del padrone di casa Sir William.
Il film si apre con una ripresa del tipico paesaggio inglese, uggioso e piovigginoso, ed una macchina che si appresta a raggiungere Gosford Park.
Già dai primi minuti Altman si concentra sulla caratterizzazione negativa della società borghese degli anni a cavallo tra le due guerre, una società annoiata, cristallizzata nei suoi ideali conservatori, classista e che non bada all'empatia tra individui, anzi, non calcola nulla al di fuori del desiderio di soddisfare i propri bisogni.
Tutto il film è giocato sulla rappresentazione parallela di due mondi, quello dei ricchi e quello della servitù, e solo quest'ultima riesce a cogliere in pieno le varie sfumature della vita, la tacita sofferenza, l'orgoglio dei lavoratoti, la fatica e i sacrifici, le speranze e le aspettative; si tratta di un mondo vivo e in continuo movimento contrapposto nettamente alla staticità e alla noia che avvolgono il mondo dei ricchi.
La scelta stilistica che contrassegna la divisione tra i due mondi è una scala che collega il piano superiore della "bella vita" a quello inferiore delle cucine, delle chiacchiere, della lavanderia; è un confine ben tracciato, rare volte valicato dai ricchi.

Robert Altman ha creato una sceneggiatura ben ragionata: il delitto del padrone di casa e la campagna inglese non sono altro che lo sfondo e il pretesto utilizzati per tracciare i contorni di un'umanità varia, contraddittoria, alla ricerca di un riscatto personale (fatto sta che nemmeno l'intervento della polizia riuscirà a far luce sul caso, proprio perchè Altman non è interessato del tutto alla risoluzione del delitto quanto alla resa di un progetto ben più ampio): sono propri i delitti alla Agatha Christie (Assassinio sull'Orient Express) che permettono di giocare con un largo numero di personaggi, ma a differenza dello stile di scrittura della regina del giallo, Altman riesce a far perno sulla psicologia dei suoi protagonisti dimostrando che una medesima vicenda può essere guardata con migliaia di occhi diversi e, di conseguenza, può assumere sfaccettature emotive sempre differenti che contribuiscono ad alimentare la relatività del mondo.
Oltre a tutto ciò, il giallo è reso con particolare maestria e originalità da alcune scelte stilistiche e pratiche, come le ripetute inquadrature sull'arma del delitto ("poison") o i dialoghi della servitù sul delitto, con i quali il pubblico viene coinvolto nella risoluzione del caso in prima persona, rubati di sfuggita dalla telecamera, o ancora il capovolgimento dei clichè nella raffigurazione dei personaggi (infatti la servitù si dimostra molto più ricca di ideali nonostante povera e senza radici nobili).
Non mancano intrighi e colpi di scena tipici del genere giallo, ma soprattutto l'apice della maestria con cui il regista delinea l'alta borghesia è la totale assenza di emozioni nei confronti della vittima: il weekend inizia e finisce con i soliti convenevoli, senza più di tanti sentimentalismi (l'essenziale è british), come se tutto fosse avvolto dalla noia, dall'ordinarietà e dalla superiorità degli aristocratici nei confronti di fatti così effimeri e "banali" come la morte o l'omicidio: i ricchi sono delineati, quindi, come al di sopra di ciò che li possa rendere vulnerabili e far riflettere sulla loro condizione egualitaria a tutti gli altri esseri umani di ogni ceto e razza.
La scena finale, speculare alla prima, conclude il weekend come se si fosse trattato di una piccola parentesi che ha portato più cambiamento negli animi della servitù che nelle monotone vite dei ricchi.




Wednesday, May 1, 2013

La duchessa


Dopo le collaborazioni con Joe Wright (Orgoglio e pregiudizio, Espiazione) e la numerosa partecipazione a film ambientati nel diciannovesimo secolo (Seta, A dangerous method) l'attrice Keira Knightley conferma la sua capacità nell'interpretazione di ruoli femminili d'epoca, ruoli che incarnano personalità forti e ribelli se pur schiacciate dalle società maschiliste di quei tempi.
In La duchessa viene raccontata la biografia di Georgiana Spencer, donna elegante, attiva in ambito politico e culturale, personalità chiacchierata in tutti i salotti inglesi per il suo infelice matrimonio col duca di Devonshire, e grande amica di Maria Antonietta di Francia.
Il film è una summa della sua biografia, dal matrimonio col duca a diciassette anni, costretta a sopportare il concubinaggio del marito con l'amica Bess, alla nascita di due figlie e, cosa più importante all'epoca, di un erede maschio, alla relazione con Charles Grey, uomo politico. 
Non è un film che spicca particolarmente per le sue innovazioni nel genere storico-biografico, nè per la caratterizzazione dei personaggi; William Cavendish è un uomo rude e privo di sentimenti, che riserva affetto più nei confronti dei suoi cani che verso la moglie, che tradisce la moglie con serve e dame, che costringe Georgiana a vivere con Bess e i suoi figli senza che lei possa avere la libertà di amare Charles. 
La figura di Georgiana varia in tutte le sue sfumature, dalla passione, all'odio, alla rabbia, all'amore per i  figli, alle pressioni di dover dare alla luce un erede maschio, all'ingiustizia provata nei confronti della sua condizione di donna che in quanto tale deve soltanto subire imposizioni. 
L'affresco che viene dato della condizione femminile è efficace, reso in maniera veritiera da entrambe le due protagoniste femminili, amiche e nemiche, Bess e Georgiana. 
Solo la solidarietà femminile riesce a dare un po' di conforto alla loro condizione.
Ottimi i costumi e le ambientazioni sebbene il film rischi di scadere in scelte stilistiche scontate che ormai sono diventate dei veri e propri clichè del genere.
Alcuni hanno visto ne La duchessa una metafora della vita di Lady D.