Un tram che si chiama desiderio
Tratto dal dramma teatrale di Tennessee Williams del ’47 e rappresentato per la prima volta sul palco di Broadway sotto la direzione del regista Elia Kazan, che lo traspose in versione cinematografica con i medesimi attori quali Marlon Brando, Vivien Leigh e Kim Hunter, Un tram che si chiama desiderio è un dramma famigliare che riecheggia temi e caratteri di La gatta sul tetto che scotta, sempre di Tennessee, che contava attori del calibro di Liz Taylor e Paul Newman.
Entrambi sono ambientati all’interno di un piccolo nucleo, quello famigliare, che riduce il campo d’azione dei protagonisti ad un unico luogo scenico, ovvero la casa famigliare; questa chiusura verso l’esterno contribuisce a rendere i personaggi più introversi, meno propensi a svelare i loro sentimenti e le loro vere personalità e, soprattutto, a creare un mondo personale fuori dal tempo e da qualunque contesto sociale. In effetti i personaggi vengono svuotati delle loro interazioni sociali per dare unico spazio ai loro drammi esistenziali, così da rendere complicata e inaccessibile l’interpretazione delle loro vite, che rimane un fatto prettamente soggettivo, proprio di un personaggio che vive a tutti gli effetti e che è l’unico a conoscere se stesso.
Il tram del film è quello che deve
prendere Blanche per arrivare a casa della sorella Stella, sposata con un
immigrato polacco, Stanley. Blanche è stata costretta a vendere la casa di
famiglia dicendo addio, con essa, alla vita agiata di un tempo. Decide di
trasferirsi dalla sorella, non sapendo dove altro andare, cominciando una nuova
vita in un luogo chiuso (la casa della sorella) che la porterà a confrontarsi
sempre più con i fantasmi del suo passato e a dovere indossare una maschera che
nasconda a sé e agli altri il suo vero essere.
Come ne La gatta sul tetto che scotta la protagonista femminile Blanche è
in contrasto con una figura maschile autoritaria e passionale che è la causa
dei suoi disagi psicologici (in Un tram
che si chiama desiderio Stanley sarà la causa della pazzia di Blanche alla
fine).
In particolare troviamo una
contrapposizione tra la rozzezza di Stanley, il suo desiderio di possessione
della moglie per sentire affermata la sua virilità, e lo spirito delicato,
istruito di Blanche che non tollera il lato animalesco del cognato dal quale, nel
contempo, ne sembra affascinata. I due personaggi rappresentano due lati
contrapposti della natura umana: uno più fisico (Stanley), l’altro più
intellettuale (Blanche). Tuttavia Kazan vuol farci capire che in tutti noi
convivono questi due aspetti, senza i quali non potremmo vivere; Blanche si
nasconde dietro lo charme da intellettuale, da amante del lusso, della cultura
e della letteratura, ma il suo passato appartiene al regno di Stanley, ovvero
quello dell’impulsività e della fisicità. Per questo Blanche, allontanandosi da
quel torbido passato, ha rinnegato la sua natura umana in toto e Stanley,
consapevole della farsa a cui Blanche sottoponeva Stella e lui vantandosi di
avere conoscenze altolocate (immaginarie), ha voluto riportare alla realtà la
vera natura della cognata con la violenza.
Blanche non avrà più controllo su se
stessa, sulle sue paure, sul passato che voleva con tanto sforzo dimenticare e
finirà per lascarsi andare al rimorso di un marito suicidatosi per mano sua e
alla pazzia per non essere stata all’altezza delle sue aspettative, per non
essere diventata quello che aveva sempre sognato, ovvero una donna istruita,
intelligente, affascinante, per sempre giovane, ma di avere vissuto
nell’apparenza e nell’illusione, solo perché aveva deciso di rinnegare quel
lato di se stessa che più l’aveva fatta soffrire.
La pazzia di Blanche darà la forza a
Stella di ribellarsi alla natura violenta e maschilista del marito essendo
consapevole della fragilità della sorella e di come sia stato Stanley la causa
della sua malattia.
Kazan spiega il lato della natura umana
entrando nell’ossessivo mondo di Blanche, fatto di rimorsi, pentimenti,
speranze e illusioni, e in quello impulsivo di Stanley, dichiarando la
complementarità di questi due poli per cui l’uno senza l’altro sono condannati
a perire (Blanche in manicomio, Stanley senza Stella e il figlio da lei avuto).
Nonostante abbia vinto quattro Oscar, il
film rimane senza anima, cioè senza un’impronta personale del regista, in
quanto la scena è rubata del tutto dai personaggi e dal loro dramma.
Forse per
il tragico finale, Un tram che si chiama
desiderio lascia con l’amaro in bocca, con una sorta di empatia nei
confronti della protagonista e della sua fragilità spezzata, con la
consapevolezza che è stata una vittima dell’ingiustizia, emarginata da quel
mondo e da quella vita che, a modo suo, ancora amava e a cui non si è mai
ribellata, in quanto è riuscita plasmarla a sua immagine e somiglianza, a
creare un mondo tutto suo in cui lei era la sola protagonista. In effetti anche
ne La gatta sul tetto che scotta la
protagonista è vittima delle accuse del marito, è un’emarginata e
un’incompresa, pur tuttavia riesce a fare valere i suoi diritti e le sue
ragioni, riuscendo a riconquistare la felicità perduta.
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