"è assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla TV"
Woody Allen

Il cinema non è un mestiere. È un'arte. Non significa lavoro di gruppo. Si è sempre soli; sul set così come prima la pagina bianca. E per Bergman, essere solo significa porsi delle domande. E fare film significa risponder loro. Niente potrebbe essere più classicamente romantico.
Jean-Luc Godard

Saturday, August 31, 2013

MELT-A-PLOT

La Mostra del Cinema di Venezia lancia un innovativo social game in cui i giocatori della rete hanno la possibilità di costruire un film ex novo, partendo da diversi incipit forniti da attori e registi che hanno partecipato al progetto. Alla fine saranno gli utenti della rete a scegliere il vincitore, cioè la trama più seguita, che conquisterà un contratto per scrivere un film in collaborazione con Tempesta con Rai Cinema. Per maggiori informazioni cliccate qui e per accedere al gioco cliccate qui
Enjoy!

Wednesday, August 28, 2013

Bianca



"Ogni scarpa una camminata, ogni camminata una diversa concezione del mondo."

Nanni Moretti dà vita ad un giallo-commedia-drammatico sfruttando un'idea utopica, quella di una persona desiderosa di ricercare in assoluto i sentimenti positivi che si presentano nel corso  dell'esistenza di ognuno, quali l'amore e la felicità.
Michele è un professore di matematica; la sua ricerca dell'assolutismo lo spinge ad avere relazioni maniacali con chi lo circonda. Moretti riesce a trattare questo aspetto inquietante del suo personaggio con comicità e sarcasmo, rendendolo funzionale alla sua ricerca utopica. 
Michele possiede un'agenda con tutti i numeri di coloro che sono sotto la sua sorveglianza (tutte giovani coppie che misteriosamente verranno trovate morte), talvolta contattandoli o presentandosi a casa loro come uno di famiglia per monitorare i loro atteggiamenti e la loro vita sentimentale.
In questo modo egli vive attraverso di loro quei sentimenti a cui lui mai si espone, ne studia l'irrazionalità non riuscendo a capacitarsi di come molte coppie si lascino nonostante avessero provato amore: per Michele ciò è inspiegabile proprio perchè non comprende la relatività delle situazioni e dei sentimenti, pensa a loro piuttosto come ad un assoluto senza mezzi termini, senza ma nè forse. Un amore deve nascere rimanere immutato nel tempo, deve essere un concetto a sè e non piuttosto un'idea che va modificando di pari passo a cambiamenti umani, come la lontananza o il fatto di non andare più d'accordo. Se c'è amore, pensa Michele, ci deve essere per sempre e forse c'è sempre stato, ancora prima di nascere, ancora prima che le persone interessate ne venissero a conoscenza: un amore assoluto.
Nella sua ricerca dell'assolutismo, il protagonista vede con distacco i suoi sentimenti per Bianca, una professoressa di lingue. 
 Egli rinuncia all'amore per lei perchè si rende conto che l'idea di pensarla con uomini precedenti non può rendere giustizia a quell'amore sempiterno che ha sempre ricercato.
Rifugge l'amore per paura di poter soffrire e, come in molti film morettiani, decide di rifugiarsi nelle gioie del palato, della Sacher Torte con la panna, l'unico momento in cui lascia che la sua mente navighi tranquilla oltre le sue manie.
Michele ci fa comprendere che un uomo fermo nel suo utopismo irraggiungibile, nel suo desiderio di perfezione per sè e per gli altri, nel fatto di non accettare il relativismo (che culmina con la frase in corsivo sopra), perde la vita stessa, ovvero non vive la varietà e la relatività che permettono alla vita di sorprenderlo, anche se talvolta, e questa paura è radicata soprattutto in Michele, tutti noi proviamo timore verso certi cambiamenti.
Moretti dipinge due mondi contrapposti: quello ordinato e allo stesso tempo caotico del protagonista e quello pacchiano e fuori luogo della scuola, il mondo esterno in cui vive Michele.
Egli lavora nell'istituto sperimentale "Marilyn Monroe" in cui lo psicologo è ad esclusivo uso dei docenti e in cui si organizzano gite scolastiche apposite per loro con tanto di pulmino; un mondo di professori totalmente esaltati o tragicamente depressi che Michele guarda con sarcasmo.
Probabilmente Moretti ha voluto dare un'immagine ingenua e infantile al mondo "normale" per avvicinare il pubblico di più al punto di vista davvero inusuale e contorto di Michele, rendendolo quasi unico punto di riferimento allo spettatore disorientato dalla stranezza della realtà in cui vive il protagonista.
Il titolo Bianca non lascia intravedere la ricerca che fa il regista, e di conseguenza il suo personaggio, di una vita vissuta e non vissuta, di un uomo che desidera rimanere ancorato ai suoi ideali utopici e che vive e non vive; tuttavia proprio l'amore per Bianca rivela questo tormento di Michele tra ragione e sentimento.

Sunday, August 18, 2013

Un tram che si chiama desiderio




Tratto dal dramma teatrale di Tennessee Williams del ’47 e rappresentato per la prima volta sul palco di Broadway sotto la direzione del regista Elia Kazan, che lo traspose  in versione cinematografica con  i medesimi attori quali Marlon Brando, Vivien Leigh e Kim Hunter, Un tram che si chiama desiderio è un dramma famigliare che riecheggia temi e caratteri di La gatta sul tetto che scotta, sempre di Tennessee, che contava attori del calibro di Liz Taylor e Paul Newman.
Entrambi sono ambientati all’interno di un piccolo nucleo, quello famigliare, che riduce il campo d’azione dei protagonisti ad un unico luogo scenico, ovvero la casa famigliare; questa chiusura verso l’esterno contribuisce a rendere i personaggi più introversi, meno propensi a svelare i loro sentimenti e le loro vere personalità e, soprattutto, a creare un mondo personale fuori dal tempo e da qualunque contesto sociale. In effetti i personaggi vengono svuotati delle loro interazioni sociali per dare unico spazio ai loro drammi esistenziali, così da rendere complicata e inaccessibile l’interpretazione delle loro vite, che rimane un fatto prettamente soggettivo, proprio di un personaggio che vive a tutti gli effetti e che è l’unico a conoscere se stesso.
Il tram del film è quello che deve prendere Blanche per arrivare a casa della sorella Stella, sposata con un immigrato polacco, Stanley. Blanche è stata costretta a vendere la casa di famiglia dicendo addio, con essa, alla vita agiata di un tempo. Decide di trasferirsi dalla sorella, non sapendo dove altro andare, cominciando una nuova vita in un luogo chiuso (la casa della sorella) che la porterà a confrontarsi sempre più con i fantasmi del suo passato e a dovere indossare una maschera che nasconda a sé e agli altri il suo vero essere. 
Come ne La gatta sul tetto che scotta la protagonista femminile Blanche è in contrasto con una figura maschile autoritaria e passionale che è la causa dei suoi disagi psicologici (in Un tram che si chiama desiderio Stanley sarà la causa della pazzia di Blanche alla fine).
In particolare troviamo una contrapposizione tra la rozzezza di Stanley, il suo desiderio di possessione della moglie per sentire affermata la sua virilità, e lo spirito delicato, istruito di Blanche che non tollera il lato animalesco del cognato dal quale, nel contempo, ne sembra affascinata. I due personaggi rappresentano due lati contrapposti della natura umana: uno più fisico (Stanley), l’altro più intellettuale (Blanche). Tuttavia Kazan vuol farci capire che in tutti noi convivono questi due aspetti, senza i quali non potremmo vivere; Blanche si nasconde dietro lo charme da intellettuale, da amante del lusso, della cultura e della letteratura, ma il suo passato appartiene al regno di Stanley, ovvero quello dell’impulsività e della fisicità. Per questo Blanche, allontanandosi da quel torbido passato, ha rinnegato la sua natura umana in toto e Stanley, consapevole della farsa a cui Blanche sottoponeva Stella e lui vantandosi di avere conoscenze altolocate (immaginarie), ha voluto riportare alla realtà la vera natura della cognata con la violenza. 
Blanche non avrà più controllo su se stessa, sulle sue paure, sul passato che voleva con tanto sforzo dimenticare e finirà per lascarsi andare al rimorso di un marito suicidatosi per mano sua e alla pazzia per non essere stata all’altezza delle sue aspettative, per non essere diventata quello che aveva sempre sognato, ovvero una donna istruita, intelligente, affascinante, per sempre giovane, ma di avere vissuto nell’apparenza e nell’illusione, solo perché aveva deciso di rinnegare quel lato di se stessa che più l’aveva fatta soffrire.

La pazzia di Blanche darà la forza a Stella di ribellarsi alla natura violenta e maschilista del marito essendo consapevole della fragilità della sorella e di come sia stato Stanley la causa della sua malattia.
Kazan spiega il lato della natura umana entrando nell’ossessivo mondo di Blanche, fatto di rimorsi, pentimenti, speranze e illusioni, e in quello impulsivo di Stanley, dichiarando la complementarità di questi due poli per cui l’uno senza l’altro sono condannati a perire (Blanche in manicomio, Stanley senza Stella e il figlio da lei avuto).

Nonostante abbia vinto quattro Oscar, il film rimane senza anima, cioè senza un’impronta personale del regista, in quanto la scena è rubata del tutto dai personaggi e dal loro dramma. 
Forse per il tragico finale, Un tram che si chiama desiderio lascia con l’amaro in bocca, con una sorta di empatia nei confronti della protagonista e della sua fragilità spezzata, con la consapevolezza che è stata una vittima dell’ingiustizia, emarginata da quel mondo e da quella vita che, a modo suo, ancora amava e a cui non si è mai ribellata, in quanto è riuscita plasmarla a sua immagine e somiglianza, a creare un mondo tutto suo in cui lei era la sola protagonista. In effetti anche ne La gatta sul tetto che scotta la protagonista è vittima delle accuse del marito, è un’emarginata e un’incompresa, pur tuttavia riesce a fare valere i suoi diritti e le sue ragioni, riuscendo a riconquistare la felicità perduta.

Thursday, August 15, 2013

Entre les murs



Laurent Cantet è stato premiato nel 2008 con la palma d'oro al Festival di Cannes grazie al suo docu-film Entre les murs. 
Il film è stato girato nel periodo estivo con alunni e professori volontari e tale scelta ha influito notevolmente sull'aspetto di questa pellicola. 
Il titolo originale in francese conferisce l'idea attorno alla quale ruota l'intero senso del film, ovvero la rappresentazione della scuola come luogo di segregazione e di mancata integrazione. Sebbene le classi siano miste dal punto di vista etnico, i ragazzi (soprattutto quelli di colore, di religione presumibilmente musulmana e con genitori non del tutto integrati nella comunità locale a partire dal fatto che riescono a comunicare col mondo esterno, nella fattispecie con i docenti, solo attraverso interpreti quali i loro figli istruiti) vivono in due realtà separate e differenti: l'ambiente scolastico e quello famigliare.
Il primo tende ad uniformare pensieri, idee e metodi di studio che devono essere uguali per tutti, senza badare a differenze personali di ogni individuo e dando per scontato che il metodo di insegnamento utilizzato sia valevole per ognuno degli allievi. A questo proposito mi viene in mente il problema della dislessia, molte volte trascurato e non riconosciuto da scuola e famiglia, che non permette a chi ne soffre di raggiungere gli stessi gradi di studio elevati di chi non ne è affetto; la dislessia non è un deficit mentale, ma richiede un metodo di studio diverso basato sulla figurazione e non sul comune metodo mnemonico. 
Tuttavia, come avviene nelle riunioni docenti del film, l'interesse di questi verso i problemi d'apprendimento degli allievi è ben poco: si parla piuttosto della riparazione della macchinetta del caffè e di eventuali ricorsi disciplinari. Da questo quadro emerge il vero lato diseducativo della scuola che non fa nulla per eliminare dislivelli culturali e sociali, ma mira a livellare le differenze individuali; interviene solo a stanare atti violenti da parte dei ragazzi, come se contassero solo quelli, senza dare peso ed elogiareciò che di positivo riescono a fare. 
Il caso di Souleymane, ragazzo di colore, è esemplificativo della diseducazione che fornisce il sistema scolastico e della poca parità dei diritti tra professori despoti e alunni sottomessi; solo il professore di lettere sembra voler scardinare questo circolo vizioso di disinteresse, anche se alla fine sarà vittima e artefice egli stesso dell'ingiustizia tra le due fazioni. Souleymane dovrà pagare per il gesto violento che compirà, mentre il professore, colpevole di avere insultato delle ragazze, non sarà richiamato per il suo atto poco professionale. Questa è la disugaglianza e il cattivo esempio che la scuola fornisce ai ragazzi. 
Il regista mette il pubblico di fronte ad una realtà in cui non riesce ad identificarsi nè stando "dalla parte" del professore nè da quella degli studenti; entrambi mostrano di avere torto e ragione allo stesso tempo, ora l'uno ora l'altro, senza giungere ad una soluzione che possa unirli in nome della vera educazione per mancanza di una vera comunicazione da parte di entrambi. Ci troviamo, perciò, spiazzati dall'incomunicailità e da come la scuola non compia il suo dovere a pieno, concentrandosi più sulla cultura massificata, piuttosto che sul potenziale soggettivo da sviluppare.