Cesare deve morire
In questo docu-film dei fratelli Taviani, vincitore dell'Orso d'oro alla Berlinale 2012, i detenuti del carcere di massima sicurezza di Rebibbia, a Roma, si cimentano in un corso teatrale interpretando una tragedia liberamente ispirata al Giulio Cesare di Shakespeare. Di primo impatto il genere sotto cui è stato classificato il film potrebbe non essere chiaro a tutti oppure potrebbe portare ad un'interpretazione sbagliata del film stesso. Infatti il genere di documentario è stato attribuito per il fatto che abbiamo una regia nella regia: la prima, quella dei fratelli Taviani, si limita a riprendere in modo estremamente naturale (da documentario appunto) i momenti in cui il regista teatrale Fabio Cavalli presenta il laboratorio ai detenuti, i loro provini, il pubblico che assiste alla prima.
La seconda regia è quella di Cavalli che si muove con pochi mezzi per il carcere e le celle, sole e uniche scenografie di gran parte del film.
Inoltre ogni detenuto viene presentato a noi spettatori attraverso la scritta in sovrimpressione del suo nome, del reato commesso e della pena quando gli viene assegnata dal regista la parte del personaggio che interpreterà.
Il film si apre in medias res (nel mezzo degli avvenimenti), quando Bruto prega uno dei congiurati di togliergli la vita dopo che gli altri si sono rifiutati. In seguito verrà mostrato cosa è avvenuto nei sei mesi prima attraverso il classico flashback: le prove per i corridoi del carcere, i copioni, la solidarietà e le avversioni. In tutto questo frangente la pellicola è girata in bianco e nero, gli attori sono vestiti con abiti moderni e solo i bianchi muri o le inferriate delle singole celle fanno da scenografia alle prove quotidiane.
Il contrasto principale che si cerca di far emergere, peraltro con successo, è quello tra la realtà del carcere, di chi lo vive prima di tutto come condannato, e l'immedesimazione nei personaggi e nei luoghi dell'Antica Roma, creando così una sorta di specularità tra mondo antico e mondo moderno, con continui richiami e attualizzazioni di alcuni concetti espressi nella tragedia. Tutto ciò avviene attraverso la tecnica della rottura dell'illusione scenica: mentre Cassio recita la sua battuta "Roma, città senza vergogna!", aggiunge, come soprappensiero, un suo personale commento ("Pure tu, Napoli mia, sei diventata una città senza vergogna ...") attualizzando e cogliendo anche un aspetto pessimistico della storia, cioè la sua ripetitività, il fatto che nulla cambia mai e che le situazioni di corruzione, di delazione e di odio si ripetono ciclicamente. Infatti ecco cosa dirà per giustificarsi della sua aggiunta fuori copione: "Scusi, ma a me pare che questo Shakespeare sia vissuto tra le strade della mia città".
La rottura dell'illusione scenica è molto frequente: quando l'attore di Bruto si interrompe perchè la battuta che dovrà recitare gli ricorderà la sua vita di spacciatore, quando l'attore che interpreta Cesare accuserà di falsità l'attore di Decio sulla scia delle battute che stanno recitando, quando Bruto chiederà un po' al pubblico e un po' a se stesso "Quante volte Cesare dovrà sanguinare su scene di teatro?".
Tutte le scene che in seguito porteranno alla congiura contro Cesare sono girate nel carcere a spezzoni, come se stessimo assistendo alle singole prove di ogni scena.
La parte del film che riguarda la recita in teatro vera e propria è girata a colori e narra la guerra tra Bruto e Antonio dopo l'uccisione di Cesare; per tutto il film ogni personaggio recita nel proprio dialetto d'origine.
Una volta terminata la recita i detenuti rientrano ognuno nella propria cella scortati da una guardia carceraria.
"é da quando ho conosciuto l'arte che 'sta cella è diventata una prigione" conclude il detenuto che ha interpretato Cassio mentre prepara il suo caffè.
Scoop
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